Running Point / Zero Day

Di solito non amo fare recensioni sulle serie che vedo su Netflix, perché i gusti sono gusti e non bisognerebbe discurterne, ma in questo caso, faccio volentieri un’eccezione. Vorrei consigliarvi una serie da vedere ed una serie da evitare, rispettivamente Running Point e ZeroDay. Eviteró spolier per quanto possibile.
Running Point
La serie da vedere è Running Point, una serie umoristica sul mondo del basket. E’una prodotta da Warner Bros e ha come attrice protagnoista Kate Hudson, che magari vi ricordate nel thriller-horror the Skeleton Key (2005).
Oltre a conservare un certo fascino, Kate è molto brava a recitare in un ruolo comico che non scade mia troppo nella macchietta. La serie ha dei ritimi veloci alla Scrubs, ma dietro c’è una sceneggiatura solida, e anche i fratelli, personaggi comprimari della protagnoista, interpretati da Scott MacArthur e Drew Tarnerm, hanno lo spazio che meritano e recitano bene.
Inoltre la trama si apre anche su personaggi che sembrano secondari ma non lo sono. Gli episodi scorrono via velocemente.
I personaggi principali hanno tridimensionalitá e profonditá, pur trattandosi di una serie umoristica che punta sulle situazioni imbarazzanti, piú che sul resto.
È stata giá rinnovata per una seconda stagione.
Zero Day, Zero consistenza
Finiamo con quella da evitare, Zero Day. Si tratta di una miniserie in sei puntate con Robert De Niro, che ho ascoltato in lingua originale, al fine di evitare il bias del doppiaggio Italiano (che di solito alza la media delle valutazioni, btw). La serie di tipo “political drama” è prodotta interamente da Netflix, con De Niro che compare anche come uno dei produttori esecutivi.
Il personaggio principale è un ex presidente degli Stati Uniti a cui viene data in mano una super comissione con poteri illimitati, per combattere un attacco informatico che “spegnendo” tutti i sistemi per un minuto ha provocato piú di 4000 morti. Lo spunto iniziale e anche i primi 30 minuti del primo episodio stanno abbastanza in piedi.
Poi inizia una lenta discesa verso l’inconsistenza:
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La serie è priva di azione, la metá degli eventi importanti non viene mostrata ma ‘riassunta’ nei briefing fatti col nostro super protagnista, ma si insiste sulla vita dell’ex presidente, con ripetizioni abbastanza noise della sua routine quotidiana (sveglia, pastiglie, nuotata, jogging). Alcune di queste ripetizioni sono funzionali ad un aspetto della trama, ma tutto è spiegato male.
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E’ piena di stereotipi: l’informatico grasso, l’agente di colore nero che vuole usare la tortura sul giornalista rompiscatole, agente che viene ferito gravemente (tipo nemesi) e il vecchio bianco ex-presidente dai sani principi che non sbaglia mai; in generale c’è una specie di gentrificazione culturale: statisticamente tutti i protagnoisti con meno di 50 anni fanno sempre errori magistrali, tranne rari casi.
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La trama prende una strada da soap opera sfigata, con scenari irrealistici in cui la figlia del protagnista presiede la commissione parlamentale di controllo sulle azioni del padre; anche volendoci credere ed entrare in questo mondo all Beautiful+House of Cards, ci sono dei vulnus enormi: l’approfondimento di alcuni drammi è pari a zero (spoiler: si scopre che c’è un figlio/a illegittim*, ma questa cosa ha un impatto zero sugli eventi, e viene liquidata in due, dico due scambi di dialogo… no comment).
Ma sopra ogni cosa, De Niro non funziona: è cosí inespressivo dal punto di vista facciale, che in alcuni intermezzi critici non si capisce granché il senso per es di un confronto con un altro personaggio, e le sue frasi ad effetto non lasciano il segno, risultando vacue idee da Zio Sam. E’come se De Niro avesse la faccia di cemento.
Gli attori comprimari sono invece buoni, in particolare la moglie Joan Allen, oppure l’attuale presidente degli stati uniti donna, interpretata da una stupenda Angela Basset. Anche gli attori piú giovani come Lizzy Caplan e Jesse Plemons recitano meglio di De Niro (nei limiti) ma in generale qualsiasi aspetto sentimentalee tra i protagnisti è descritto male, in modo artefatto e/o superficiale.
La morte del figlio di De Niro, causa del suo ritiro dalla scena pubblica aleggia dai primi minuti, è descritta tardi e male, liquidata in modo confuso e a tratti poco comprensibile.
I dialoghi sono curati con frasi ben congegnate, ma la trama è debole, e culmina con un colpo di scena del tutto irrazionale (ma anche su altri aspetti accessori, come indizi critici e banali che nessuno vede tranne chi poi muore prima di rilevarli, alle solite). Alcune fantomatiche scelte tecnologiche dei cospiratori sono ridicole, e danno adito a espedienti narrativi orripilanti.
Il super team di reazione rapida agli attacchi ZeroDay alla fine è guidato per mano dal capo dello staff del protagonista, come se avessero l’intraprendenza di bimbi di cinque anni…andiamo bene.
Sorvoliamo poi sul fatto che quando si trova il capo dei presunti responsabili, viene ritrovat* mort* passata una scena, cosí possiamo fare un’altra puntata di 45 minuti…
Inspiegabile poi l’utilizzo di un attore versatile come Robert Clark Gregg (l’agente Coulson nell’universo Marvel) per appena un paio di scene, tipo cameo da fine carriera.
ZeroDay si poteva raccontare in due-tre episodi, non sei. E si poteva fare molto meglio: l’ultimo episodio è un affastallamento di eventi anche con qualche problema di continuitá temporale, mentre alcuni episodi sono vuoto spinto nel nulla.