Yakuza Blues

Ho avuto la fortuna di leggere “Yakuza Blues: Vita e morte nella mafia giapponese”, scritto da Martina Bardel per Rizzoli. Si puó definire un saggio che racconta l’evoluzione della Yakuza dal secondo dopoguerra ai nostri giorni, ma è scritto come un romanzo, per cui posside sia la leggerezza di una docufiction, unita alla precisone documentativa della autrice, che è una ricercatrice di un certo peso.
Il testo narra una lunga intervista fatta ad un capo yakuza, condotta dall Bardel in una decina di incontri, inframezzatto da una serie di altre interviste a personaggi con storie differenti ma tutte accumunate da alcuni principi base.
La Yakuza nasce come una organizzazione criminale dedita al pizzo, e alla gestione del mercato nero; nel secondo dopoguerra risulta avere un enorme capacitá di controllo del territorio, infinitamente superiore alla polizia che è disarmata e sparuta (numericamente inferiore) rispetto alle esigenze di ordine pubblico.
La fine della seconda guerra mondiale porta il giappone ad un rifiuto delle armi e della violenza. In questo primo periodo di ricostruzione, la Yakuza è si una organizzazione criminale ma viene percepita anche come una entitá di supporto da parte delle forze dell’ordine. Questa anomalia è giustificata anche dal contesto culturale: quello che Martina Bardel ci dice è che la Yakuza diventa una grande famiglia in cui accogliere tutti coloro che sono ai margini della societá, e che qui vengono accolti mettendosi nella mani del capo, che puó disporre di loro come un padre putativo.
Bardel continua a tenere un occhio lucido e disincantato sulle diamiche sociali che portano da un lato alla presa di coscienza che la Yakuza va distinta nettamente dalle forze dell’ordine e va osteggiata, dall’altro al riconoscimento che le carceri giapponesi sono tutt’altro che un modello limpido, ma che contengono al loro interno storture enormi.
In questo contesto vediamo la difficoltá della politica (e della societá) nel correggere un modello giuridico che contiene ampi margini di discrezionalitá: la scrittice racconta come ha vissuto un incidente automobilistico in cui era lei ad essere nel torto, e che le ha consentito rendersi conto che il sistema penale giapponese ha piú di un problema, e dove un semplice errore rischia di portare facilmente un umile cittadino in un turbinio di difficoltá non banali: la strategia per uscirne consiste nel fare ricorso alla propria posizione sociale per mitigare eventuali punizioni e nel mostrarsi pentiti e ‘chiedere scusa’; una modalitá di comportamento che riveste piú la sfera dell’educazione che quella del rispetto delle norme, ma che in giappone si confondono in modo ambiguo.
Quello che va integrato è una introduzione alla cultura giapponese, che la scrittice non copre a sufficienza; suggeriamo di abbinare a questo libro un podcast fatto da Flavio Parisi e Matteo Bordone, che puó darvi il contesto culturale in cui si sviluppa la Yakuza senza dimenticare qualche articolo interessante edito sempre da ilpost che sul giappone ha un occhio attento.
Buona estate!